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giovedì 11 novembre 2021

LA SAGA DI MENW E LA STORIA DI MICHELE

prima parte

 

Quello che inizio a pubblicare è un raccontino che scrissi quasi 35 anni fa. lo riporto senza modificare nulla, se non qualche virgola qua e là. E lo riporto a puntate, perché comunque è suddiviso in parti, ma anche perché non sarebbe carino appiopparvelo tutto in una volta.

Qualcuno ci vedrà una metafora dell'adolescenza, altri un tentativo mal riuscito. Non lo so. Io iniziai a scriverlo secondo l'unica regola che ho seguito, con costrutto e spesso con diletto, per quasi venticinque anni. Quella cioè di scrivere qualcosa ogni santa sera, ogni santo giorno, fossero pure due righe in croce.

Questa pratica intima e tenace mi ha aiutato moltissimo, me ne rendo conto solo ora, anni ed anni dopo. Averla abbandonata è stato un errore madornale, ed è una dei "peccati" verso me stesso a cui cercherò di porre rimedio.

Il raccontino in sé non so se abbia particolari qualità letterarie - quando l'ho scritto ero sì e no un quindicenne sognatore - ma è l'intento narrativo che mi ha fatto riflettere. Qualche anno fa lo lessi a mia moglie e il suo primo commento, dopo che aveva letto le cose più recenti che avevo scritto - parliamo di una dozzina di anni fa - fu che non sembrava neanche una cosa mia.

In effetti, rileggendolo, mi tornano alla memoria le mie intenzioni: mescolare una vaga idea di religiosità astratta e formalistica con un percorso di crescita che passava per una specie di età magica e poi per il dolore della presa di coscienza di sé (sì, non ero un adolescente normale).

Ad ogni modo. Questo che vi propongo è l'inizio del racconto. La prossima settimana cercherò di postare il seguito.




La docile e beata essenza del suo corpo, un giorno, cambiò. La mestizia, la sottomissione spirituale delle sue ali, vacillarono.

 

Tutto era cominciato dopo un lungo viaggio attraverso l’oceano Pacifico, in una sperduta isola che ospitava un prete visionario. D’un tratto, tornando, s’era accorto di viaggiare ben oltre i limiti, tanto da perdere una piuma che soave ed angelica ridiscese, cullandosi in aria e finendo sulla placida acqua, affogando dolcemente, scomparve. Per questo non era stato richiamato, e per un po’ attribuì ad un “turbamento”, uno di quelli che talvolta colgono anche gli angeli più beati, il fatto. Poi cominciò a preoccuparsi perché avvertiva strani formicolii. La onnisciente onnicomprensiva mente divina lo percepì, ed in un dialogo di spiriti Michele fu consigliato ad andare per un certo periodo di tempo, tanto per ricordarsi della bassezza e perdizione e caducità della natura umana, fra gli elfi dei sottoboschi, fra gli gnomi, e di restarci. Ma non fu semplice. Il consiglio era di tale portata che il giovane angelo si sforzò in ogni modo di reprimere quel suo fiammeggiare improvviso. Era uno degli angeli più belli, più buoni e pii, più celestiali. Era stato fino ad allora in perfetta comunione con la divinità, ed ogni suo volere era stato quello della divinità. Splendeva d’un’aurea luce azzurra pulsante d’Amore, le sue candide ali incantate erano sempre state le più sognate dai vari miracolati, aveva accompagnato la Madre Vergine in molte delle sue frequenti apparizioni, e santi importanti. Una volta aveva suonato la tromba del Giudizio Universale nel sogno d’un anziano cardinale. A causa della cattiva coscienza di quello, lo aveva dovuto portare anche via dal corpo. Poi era accaduto quel desiderio di velocità, poi quello di velocità. Una volta obbedendo all’impulso ribelle, spostò la sua nuvola, s’intrattenne a parlare con un demone messaggero, addirittura s’era messo a fantasticare sdraiato su di un verde prato. Le sue stranezze furono notate, e celestino e Serafino, due suoi carissimi compagni di rosa, lo esortarono a conformarsi al volere della divinità. Prima, però, avrebbe dovuto esporre, personalmente, le cause del suo spostamento, dinnanzi all’assemblea dei celesti presieduta dagli angeli rappresentanti, fra cui il vecchio e glorioso Arcangelo.



Michele, angelo divino, aveva sempre espresso l’ideale più alto di angelicità. Fra tutti, la sua mimesi completa con la volontà ed amore divini era esemplare. La sua lucente spada era l’arma del bene, e nei cieli delle visioni, nei fruscii lievi della preghiera come pure nelle ascesi mistiche, suo era il tocco, sua la genialità. Parlava correntemente tutte le lingue dell’umanità e no, così come gran parte dei dialetti. Era abilissimo nel coadiuvare esorcisti e teologi, ma la sua natura semplice e schietta era più sovente trovarla nei santini dei bambini, fra le labbra della gente in difficoltà, nei pensieri di chi toccava il cielo con un dito. La sua chioma azzurra era fluente ed ammirata, e la sua tunica lucente di ghiaccio scendeva soave come il volo di un iris. Il Consiglio che più volte lo aveva insignito di decorazioni e riconoscimenti, proposto per promozioni nelle gerarchie celesti, per santificazioni tra gli uomani fedeli, si trovava ora ad interrogarlo sul come mai sorgessero in lui codeste spinte estranee alla mente divina. Michele, dunque, al centro di un semicerchio d’angeli con a capo il Venerabile Angelo, in quella serena atmosfera, in cui sentiva uno strano formicolio fastidioso, si accinse ad esporre il suo caso.

 

«Vedete iei celesti, io stesso non saprei. Non richiamo qui il comportamento mio,ossia dell’Altissimo, che sempre ci guida e dirige, che fu e sarà ineccepibile per ciò, non tento di giustificarmi eppure, pur con questo mio sottomettermi non capisco e principalmente non guarisco...» lo interruppe un anziano angelo «Ma Michele, fratello nostro, a chi mai ti saresti dovuto sottomettere? Sai bene come le gerarchie siano, qui, solo formali quanto utili ad un preciso adempimento del volere divino. Ma non c’è chi è sopra e chi è sotto e tutti viviamo in alto sotto l’occhio dell’Onnipotente, e solo Lui nella sua unicità di Padre, Figlio e Spirito Santo ci sovrasta, e Lui è in noi e noi siamo della sua stessa natura, nell’universale concerto della creazione.»

«Venerabile, io so tutto questo, sebbene creda sempre di più di non essere tutto questo… vedete Gran Consiglio, oggi io sono qui dinnanzi a voi, e secondo la Legge, che tutto e tutti domina, dovrei esporvi cosa mi accade; lo stesso nefando Lucifero, nel dì della sua ribellione, alla presenza dello stesso Creatore, fu innanzi a questo Gran Consiglio insieme ad i suoi, ma fu lucido, sapeva il suo desiderio, espose chiaramente le sue idee, per le quali fu gettato dai cieli a conficcarsi giù negli antri oscuri del suo regno, tra l’abbraccio gelido del Còcito, ma si capiva ed aveva coscienza della sua nuova e ribelle natura. Io, padri celesti, non so cosa mi stia accadendo. Se prima avevo gioito e palpitato la mia luce per la gioia innata della comunione con il Sommo Reggitore, e sapevo e so, anche se allora non me ne rendevo conto perché ero, che quella fu, è e sarà l’unica e vera gioia, ora… ora invece sono queste cose perché le ricordo, sebbene di giorno in giorno… mio Dio, perché prima tu compenetravi la natura mia, mentre ora ti invoco!? Dicevo, sebbene di giorno in giorno le vada tristemente infrangendo.»

«Caro fratello Michele – intervenne un angelo più giovane di lui – io mi chino alla tua antica e rispettabile fama di angelo ottimo, ma tutti, anche gli appena creati, conoscono e sono il disegno e la volontà di Dio, come spiegare allora, se non con un peccato di gloria, la tua indecisione,il tuo dubbio...» «Calma piccolo fratello – tuonò grave e profondo l’Arcangelo – noi qui non siamo per giudicare ché la giustizia è divina e alla sua mala interpretazione umana dobbiamo ogni errore, né decidere, ma solo per apprendere, valutare tra loro i vari casi, consultare, proporre, insomma discutere, ma non giudicare, e taci in nome del Divino che ti governa; continua ora fratello mio sofferente».

«Guardate voi stesso mio Altissimo fratello – riprese Michele – cosa vo combinando fra voi, ed anche la soggezione che provo, di cui non conoscevo né sintomi né sensazioni, dinanzi a Voi. Forse il giovane Panfilo è nel giusto, forse no. Vedete Gran Consiglio, io non so più schiarire la mente, farci tornare la luce vera della verità celeste». «Questo accade, talvolta, mio giovane – intervenne l’Angelo dell’Ovest – ma passa; è una normale perturbazione nell’armonia tra la nostra natura divina e materiale, fra il nostro essere e la nostra forma». «E poi – aggiunse l’Angelo dell’Est – capita spesso un tremore, un’incertezza di sé prima di una completa e totale mimesi ed annullamento nel Divino».

«Ora basta – interruppe l’Arcangelo, nuovamente – voi con le vostre opinioni non fate altro che confonderlo. Continua fratello. «Io celesti fratelli capisco,so ed ho provato ciò, ma non è da ciò che mi sembra essere acceso, bensì da ribellioni del mio aspetto, in forme e fogge a me ignote.» «Chiarisciti meglio fratello – parlò Esculapio, da secoli convertito ed assunto fra gli angeli – ci sono molti sintomi fra gli umani, ma fra noi la malattia, l’imperfezione non ci sono; cos’hai mai, dunque?» «Non so – disse con evidente imbarazzo Michele – è come se esso volesse modellarsi in una forma a me estranea: pelurie, strani rigonfiamenti, una strana propaggine, e, cosa di cui per primo mi sono allarmato, fame, cosa di cui ignoravo l’esistenza e la realtà.» «Cos’è “fame”?» chiese un giovane angelo. «È un antichissimo quanto primitivo bisogno di cibarsi del creato, tipico degli esseri viventi animali e vegetali, nonché dei diavoli, di tanto in tanto...» gli rispose una voce. «Proprio così!» rispose Michele. «Un bisogno mai provato, e che pochi giorni fa ha addirittura, e mi vergogno nel dirlo, interrotto, col suo prepotente manifestarsi, la mia ascesi spirituale al Governatore Universale.»

«Possibile – disse un antichissimo angelo reduce della guerra contro i demoni – che esista una potenza tale? Io non credo, dato che tutto è compreso dal Potente, conoscibile e non, reale e non. Mio piccolo, perdona, per quanto tempo hai taciuto la cosa?» «Ho subito un momento come ne passiamo tutti, ma poi, visti i fatti, mi rivolsi immediatamente al Divino...» «Ti rivolgesti a Chi?! - sbottò Panfilo – Il Divino è in tutti noi: è Lui che ci chiama!!» «Calma piccolo – alzò la voce Esculapio – nel giuramento che ognuno di noi compie con l’atto della propria creazione, v’è anche l’esplicita regola di doverci comportare solidali gli uni agli altri… ora, caro fratello Michele, continua.»

«Dicevo, da questi dialoghi col Divino appresi in penosa maniera del mio male.» «Ha dunque un nome questa… come definirla… bizzarria del creato? - riprese l’angelo reduce, che si chiamava Eumaconte. «Non credo sia un nome – rispose Michele – quanto un aggettivo, un qualcosa che determina l’anomalia del mio comportamento.» «In sostanza? - chiese un altro angelo. «In sostanza il Grande Onnipotente mi ha detto che avevo un comportamento… umano, anche se non posso far altro che dedurre che quell’aggettivo sia il “nome” e la causa delle mie pecche, dato che ne ignoro il significato...»

Nel frattempo il Venerabile Arcangelo, come raramente faceva, aggrottò le sopracciglia e si prese, tra il pollice e l’indice della mano destra, il mento; ci fu un sommesso, silenzioso brusio di ali e tuniche fruscianti, poi, autoritaria e decisa, si levò una voce. «Il comportamento umano è qualcosa di indefinibilmente sfuggevole alle nostre menti e che solo la pietà e la Onniscienza di Dio Misericordioso comprendono; in questo Consiglio v’è poco da discutere sull’essenza del problema, o sulla sua ipotetica inesistenza, quanto v’è invece da analizzare come esso si manifesti, ossia le azioni ed i modi di fare che ci diano, in futuro, l’opportunità di capacitarci degli eventi; ora perdonatemi questa mia intrusione, e possa tu, piccolo fratello Michele, tornare nella tua vera essenza e natura, stessa e medesima del volere del Supremo.»

«Caro Arcangelo Michele – rispose l’Arcangelo Gabriele, il Venerabile – quanti secoli che non intervenivi… ! Vedete fratelli, il nostro Arcangelo ha ben esposto quale sia il nostro compito. Ora Michele, vorresti tu esporci quali e quante azioni hai commesso in preda a questo comportamento?» «Non so da dove cominciare e… ecco, la prima volta fu quando dubitai, o meglio, non fui sicuro di dove stavo andando, poi una volta… anzi due, mi fermai a parlare con Dusanghelo, il messaggero demone che portava notizie dall’ottavo girone… » Fra la folla qualcuno, tra cui il gruppo degli appena creati, con a capo Panfilo, ebbe un moto di disapprovazione, poi Esculapio impose il silenzio e Michele continuò «… quindi spostai, e questo lo confesso con rammarico, la mia nuvola...» «Perché con rammarico?» chiese leggermente sorpreso Eutanasio, uno tra gli angeli più contestati per la sua tacita ma operante solidarietà con alcuni suicidi. «Con rammarico perché la posizione che avevo trovato all’inizio era la migliore, poi sono andato via via scadendo nella qualità del mio domicilio.» «Ma è assurdo!» commentò qualcuno.

L’Arcangelo rimase interdetto e l’altro Arcangelo, Michele, si decise a dire le parole fatidiche. «Ma fratelli, perdonate, io stesso non so più bene cosa vado dicendo...» «Appunto.» Fece eco Eumaconte. Quindi l’Arcangelo Michele cominciò a pronunziare laa formula. «I fatti sono chiai, fratelli, ergo: postea Concilium angelicumque divinum questiones consi...» «Ma no! No fratelli, io, vedete, sono sempre stato rispettoso del volere divino con cui mi identificavo, ed ora, ora che sono così turbato, frastornato, vi chiedo solo di non credermi perso… è vero, una volta mi allontanai anche dalla rosa… ma – ed alzò la voce per imporsi sul principio di uno sbotto di grida – credetemi, lo feci nella più completa innocenza. Io tutto questo io vedo e so quanto è grave, ma nell’ora della nostra separazione io vi saluto come angeli veri, come ciò che io non riesco più ad essere...» e smise di parlare, chinando mesto e afflitto il volto sul petto, ubbidiente alla decisione del Creatore.

Riprese di nuovo l’Arcangelo Michele: «Ora che hai anche mostrato ed affermato la tua smarrita angelicità, fratello, non ci resta che pronunziare la formula rituale. Aspetteremo poi il giudizio divino – e quindi procedette alla declamazione della formula – Postea Concilium angelicumque divinum questiones consideravit, ipse ad gratia Dei se committis.» E gli angeli tutti in coro: «Fiat voluntas Eius». E con la voce un esile suono, Michele rispose: «Fiat voluntas Eius».

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