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sabato 27 novembre 2021

 

LA SAGA DI MENW E LA STORIA DI MICHELE

seconda parte

 

Come avevo promesso, posto il seguito del racconto dell'angelo, che scrissi circa 35 anni fa. Cacciato dal Paradiso per un periodo di rieducazione, Michele finisce in un mondo ancora più strano.

Personaggi ed ambientazione del luogo di esilio dell'angelo sono presi dai Racconti gallesi del Mabinogion e la Saga irlandese di Cu Chulainn, un libro che lessi avidamente da ragazzo, quando assieme a pinte di Guinness mi dilettavo di ascoltare musica celtica.

 Mi affascinava l'idea di un mondo a metà fra quello divino e quello umano, un mondo in via di scomparsa, fatto da esseri dei boschi, di saghe e magie. Un mondo di transizione, per così dire. 




Era una fresca sera di bosco, le stelle si affacciavano, con i loro occhi lucenti, dagli strappi fra le chiome della vegetazione arborea. Aranrot giaceva stanca e felice poggiando la testa sul petto del suo compagno, Lugaid, e distesi sulle contorte danze delle radici d'un albero, osservavano il fluttuare lento e denso della bruma sopra il piccolo lago, sul quale si accendevano centinaia di lucciole; i grilli non sfregavano il loro canto, mille foglie danzavano in magici soffi di vento; decine di occhi verdi, rossi, celesti, rilucevano in silenzio.


La calma regnava nel bosco, ed il tacere avvolgeva ogni cosa. Complici della mesta e maestosa cerimonia, gli animali tacevano, e sui rami delle fronde centinaia di minuscoli gnomi, con i loro smisurati cappelli, e le campanelle fasciate per non suonare, ammutolivano nel loro riposo, un omaggio alla notte. Tutto il sottobosco, punto di pungitopi e carezzato di felci, strisciava basso coi suoi minuti abitanti e bacche e profumi di lamponi e more fragranti di rugiada ed erba fresca.


D'un tratto un fruscio in alto, un balzo all'ingiù dall'oscurità del cielo ed una figura che piomba ed esplode come una cascata in uno squarcio di suoni, un avvitarsi scomposto e vorticoso di ali, piume che si spargono ovunque, una serie di capriole in aria, grida acute e un tonfo sordo e l'acqua accoglie rumorosamente il caduto, e spruzzi d'acqua, animali che fuggono, centinaia d'ali prendono il volo, piccoli passi frettolosi in ogni direzione, la bruma spazzata dalla danza volante, foglie pestate, rami spezzati e poi, lento, l'ondeggiante scendere di un piumaggio in pezzi.


«Poveri noi, cosa sarà mai, mio sposo?» disse piano Aranrot abbracciandolo. «Non lo so, mia sposa, non lo so, ma via, andiamo subito dal vecchio Pwyll, la cerimonia del silenzio è stata violata, dobbiamo tutti correre da lui, alla vecchia quercia del corvo.»

 

Frattanto, mentre tutti fuggivano, il malcapitato avventurato caduto nel laghetto durante una delle più importanti date dei riti magici, gridava disperato: «Deus, cur tantam poenam accipere debeo?! Cur Deus meus?! Ne me relinqueris...!» e continuava, sbatacchiando fragorosamente le ali sullo specchio in cui il cielo andava in frantumi. «Ma parla latino!» disse Llasar «la stessa lingua degli orsi Romani, forse è uno di loro...» «Mio caro» rispose correndo il vecchio gnomo Fer Baeth, con la pipa in una mano «i Romani non cadevano dal cielo, e poi...» trasse una boccata dalla sua pipa «e non avevano ali; se credi ancora che sia un Romano... fai pure, altrimenti continua a correre e... ah, attento al fungo... e veloce!» e sbuffò dal lato delle labbra sottili il fumo della pipa.


L'antica cerimonia del silenzio, nel calendario religioso dei popoli dei boschi, era destinata ad omaggiare il sonno e la notte, in cui, quando gli occhi si chiudono, crescono i germogli, si chiudono i fiori, vengono su i funghi ed ogni cosa, nonostante il silenzio, allunga le propaggini per crescere, e nella foresta si quietano e i spengono gli spiriti del giorno, mentre si levano quelli della notte, della vita nascosta.

 

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«Tutti voi, oh gnomi, elfi, folletti ed abitatori dei boschi, nonché tutti voi, animali, avete osservato quale profanazione è stata perpetrata; tutti voi certo meditate oscure vendette, magie maligne, ed infiniti piccoli prodigi per far impazzire il profanatore» esordì l'anziano Pwyll, mentre lo spiazzo si andava empiendo, «ma vi prego di non farlo, ve lo sconsiglio, ve lo proibisco! Ora...  silenzio popolo del bosco di Powys!!» e dovette quasi urlare «ora, chi ha qualcosa in contrario o da chiedere, faccia pure...» ed attese fumando la sua pipa di radica. «Certo caro vecchio popa: perché non dovremmo vendicare l'affronto, e chi è quello che ancora piange pregando?!» tuonò un abitatore dei boschi,accendendo i suoi occhi verdi. «Vedi, quello è un angelo...» ci fu una pausa, qualcuno rise, altri si guardarono interrogativamente «un angelo è una creatura di sopra il bosco, del cielo, ha ali ed è immortale». «Ma perché non possiamo punirlo?» rispose Celtchair. «Eh, perché, perché!» sbottò Pwyll «qui nel bosco le bacche sono rosse, le radici coperte di filamenti e se vuoi un po' di pace vai alla sorgente del Boann...» «O da Feidelm Noichride, alla quercia maledetta!» urlò qualcuno dal fondo dello spiazzo, e tutti risero. «Sì, andateci pure da quella figlia di Morrigan, e sarete maledetti voi pure; dicevo, tutte queste cose noi le tocchiamo e vediamo, annusiamo e mangiamo, e le sonore acrobazie della fresca acqua udiamo, ma voi, popolo dei boschi, vi siete mai chiesti oltre ciò cosa c'è?». Un silenzio superstizioso e pulsante scese sulla folla, e solo qualche corvo gracchiò «Gra gra, valli, gra, e campi,gra gra e acqua, una grande più del lago, gra!» «Non intendevo questo, ma oltre alle cose, cosa c'è?» Ci fu ancora qualche attimo di silenzio, poi il vecchio Fer Baeth disse «Ascoltai, nascosto fra le erbe, i discorsi di antichi druidi, e dissero di geissa da non infrangere e principalmente dell'Imbas forasnai...» molti mugolarono di paura, qualche gufo volò via spaventato, «ma... credo siano... 'cose', e francamente non ti capisco anzianoo Pwyll, ed ho paura». «Certo, neanche io capisco bene, eppure ricordate sempre le parole del morente Merlino: "Ci fu un tempo di piccoli e grandi dei, e di magie ed incantesimi; ora quel tempo sta per finire, ed una nuova era s'appresta, in cui uno, ed uno immenso e potente, spazzerà dei e dee, e sole, splenderà, unico Dio'; queste parole foriere di presagi disse, e io vi dico, e vi basti... perché più oltre non andrò...» e trasse due profonde boccate dalla sua pipa, carezzandosi la lunga barba, mentre la moltitudine di esseri stava sospesa tra superstizione e timore divino «che da quel sole che noi non vediamo viene consiglio e ordine per quell'angelo che starnazza, affinché sia accolto e curato...» e smise, esausto. «Ma è assurdo: accogliere e curare un profanatore!!» urlò forte Celtchair, «Ma è così che deve essere...» bofonchiò Fer Baeth, ed andandosene, sciolse definitivamente assemblea e cerimonia, mentre un elfo aiutava il capo del bosco a dirigersi alla sua dimora, ormai stremato dalla grandezza delle sue parole.


«Mio sposo, cosa sarà mai di Feidelm Noichride, sola, ripudiata,  costretta a quello che entrambe sappiamo, per tirare avanti?» chiese con sguardo pietoso Aranrot a Lugaid. «Non lo so, mia sposa, ma stanotte ho paura e turerò l'entrata».

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La mattina cinque elfi e tre abitatori dei boschi andarono insieme, al laghetto,per tirare fuori l'angelo, ma strada facendo incontrarono alcuni gnomi seminatori che erano stati fuori tutta la notte a far crescere licheni, germogli,  gemme, e questi dissero loro di non averlo più visto. «Feidelm se lo è portato via» disse il più piccolo «Ed ora?» fece l'elfo a capo della spedizione. Gli otto si guardarono, e mentre gli gnomi sfrusciavano via sotto la vegetazione, passò di lì Lugaid, alquanto agitato. «Fratelli elfi, cugini abitatori dei boschi, avete voi visto il 'cerchio d'argento della mia vita'?» Nelle menti degli interlocutori balenò improvviso un pensiero, volò via, tornò, fu pronunciato: «Feidelm s'è portato via l'angelo, quella specie di cigno, forse che c'entri qualcosa?», «Quella non sai mai cosa  combina!» tagliò corto un elfo «... ma non credo... no caro Lugaid, mettiti in pace, la tua Aranrot sarà in qualche parte del bosco a cogliere more e muschio». La scena, tutta velata di una luce irreale, si scompose: Lugaid,tranquillizzato, tornò sui suoi passi, verso il suo albero, i cinque elfi decisero di andare a fare quattro chiacchiere con i pesci dello stagno, per saperne di più, ed i tre abitatori andarono a bere il sidro alla quercia sul Boann.

 













 


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