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domenica 18 dicembre 2022

 UN VECCHIO ARTICOLO PER L'INSERTO CULTURALE DI LIBERAZIONE


Non ricordo se era il 2006 o il 2007. Mi ero da poco trasferito a Milano, e fra le cose che mi trascinavo appresso da Roma, c'era una mia partecipazione al volume collettaneo, stampato dalla DeriveApprodi, Possibilmente freddi. Come l'Italia esporta cultura (1964-1980). Ero uno della dozzina di Douglas Mortimer che aveva firmato quel libro sulle forme espressive con cui il nostro paese era stato capace di leggere e rappresentare una stagione di conflitti sociali fra le più intense, lunghe e sanguinose di tutto il mondo cosiddetto occidentale. Ancora oggi quel libro ha rappresentato per me un esercizio di riflessione non da poco, sebbene il mio contributo si fosse limitato alla vicenda, per altro non di poco conto nel panorama culturale italiano dei primi anni Settanta, del poliziottesco. Una forma filmica di cui si sarebbero dichiarati debitori non pochi registi di fama mondiale, uno su tutti Quentin Tarantino.

Quando ero ormai da qualche tempo a Milano, come strascico di quella collaborazione - che segnò il mio addio a Roma - sull'inserto culturale del quotidiano comunista Liberazione - non ricordo più il nome dell'inserto, probabilmente a causa dell'intensità, diciamo così, del decennio successivo a quegli anni - comparve un mio contributo sul noir come forma letteraria capace di fare i conti col passato del nostro paese.

Ovviamente mi esprimevo come sapevo fare all'epoca, ormai penzoloni su un baratro personale e esistenziale che mi avrebbe condotto assai lontano, in ogni senso. E oggi, a dirla tutta, non scriverei quel pezzo allo stesso modo. Però penso che in quell'articolo, che riporto qui di seguito, avessi colto una reale peculiarità del noir italiano, almeno di un certo periodo.

Eccolo qui di seguito, con l'assurdo titolo che gli diede la redazione.


IL NOIR NEL PAESE DEI MISTERI


La scrittura del noir italiano, di là dagli stili dei vari autori, ha una caratteristica abbastanza singolare. È una scrittura "di strada". Più di molte altre scritture letterarie, infatti, il noir italiano esprime una lingua viva e vitale, aspra, adattissima a modellare e a rendere la tensione senza mediazioni, la plasticità delle situazioni, i chiaroscuri dei caratteri e l'urgenza e la velocità dell'azione. E questa scrittura si esercita soprattutto nella ricostruzione del passato, nel tentativo di chiudere storie non chiuse, di riannodare legami e contatti perduti, spostando il presente della narrazione indietro nel tempo. Inevitabilmente questa dimensione prospettica della scrittura, associata alla sua vivacità - che non è riducibile al registro del parlato o a inserti gergali e semi-dialettali - cala le storie raccontate da noir in un contesto storico, assai spesso identificabile negli anni '70, ma non solo. Ovviamente questa caratteristica - che da Carlotto a Dazieri, da De Cataldo a Lucarelli, viene declinata su diversi registri - non è una semplice notazione stilistica, bensì richiama una peculiarità italiana del noir. Il noir italiano, infatti, senza voler generalizzare, ma con una tendenza diffusa e abbastanza estesa, è prima di tutto una scrittura che fa i conti col passato. E lo fa inserendo in contesti storici ben precisi - a volte con ricostruzioni documentate e verosimili, come nel caso del celeberrimo Romanzo criminale per la banda della Magliana - le vicende narrate. La resa migliore di questa scrittura, nella sua specificità italiana, è l'ibridazione fra poliziesco e memoria storica, fra autobiografismo e affresco generazionale. Le vicende che costituiscono il materiale narrativo, infatti, non si staccano dal contesto assumendo valore autonomo - come accade nel giallo, ad esempio, o nei noir basati sui serial killer - bensì si saldano alla ricostruzione storica e soprattutto politica. Con una presenza a volte rilevante di elementi biografici o autobiografici, a ribadire il portato di scrittura "volgare" e romanzesca. Il programma televisivo Misteri d'Italia, condotto dallo stesso Lucarelli, è in questo senso assai esemplificativo: le caratteristiche narrative del noir utilizzate per ricostruire spezzoni di storia nostrana. Tentativi simili, dalla mostra sugli eventi di nera, ai libri che ricostruiscono vicende delittuose e storie criminali, testimoniano della notevole forza espositiva e espressiva che il noir ha in questa particolarità italiana.

Come avevano già ampiamente dimostrato i film polizieschi degli anni settanta, infatti, gli scenari del conflitto sociale si tingono immediatamente di venature politiche, nella stragrande maggioranza dei casi di segno estremo. La storia puramente criminale, come quelle dell'americano Edward Bunker, fatica a non tingersi in breve di una connotazione politica. Un noir di grande successo, Arrivederci amore ciao - come molti altri reso sul grande schermo - si apre ad esempio con il protagonista in clandestinità nelle foreste sudamericane, al seguito della guerriglia marxista. Ma più che una specifica colorazione politica, il noir italiano funziona nei suoi meccanismi narrativi più efficaci proprio quando, andando a ricostruire, o comunque contestualizzando la storia che racconta, si fa politico, anima la violenza con una componente di conflitto non mediabile né necessariamente del tutto criminale. La mediazione che nel noir americano viene svolta dall'attività investigativa della polizia, o dall'angolo visuale del criminale, nel caso italiano in qualche modo viene assorbita da forme di contrapposizione tra le forze in goco - singoli o gruppi - che agiscono spesso nelle forme della politica, che con la politica più torbida tramano, flirtano, collaborano. Criminali a tutto tondo, nel noir italiano, non se ne trovano molti.

Dove va ricercata l'origine di questa specificità? La storia del successo di questa scrittura nel panorama editoriale italiano, rintracciabile nel lancio della collana Stile libero della Einaudi (1996), forse non a caso si apre con un romanzo ambientato durante la guerra civile spagnola, fra i fascisti italiani: Guernica di Lucarelli. Ma quella che potrebbe apparire solo una tendenza generalizzata, ovvero l'ambientazione al passato delle storie, evoca invece, attraverso la tipologia di scrittura del noir italiano, l'urgenza di una riflessione sulle forme in cui la nostra cultura si rappresenta il conflitto sociale.

E se la stagione che più di ogni altra nella storia nazionale recente è stata epoca di conflitto sociale portato alle estreme conseguenze, gli anni Settanta, allora bisogna notare come nessun'altra scrittura romanzesca si sia occupata di questo periodo così sanguinoso della storia nazionale e delle vite dei suoi protagonisti come fa il noir. Il linguaggio, le azioni e le motivazioni che muovono i personaggi di questi romanzi collimano con quello di strada, nella massima "volgarizzazione" romanzesca di bachtiniana memoria. La biografia raccoglie temi e spunti che solo nella forma del noir riescono a parlare di una storia recente accuratamente rimossa, criminalizzata e criminale, che mai aveva così profondamente attentato alle malferme fondamenta della repubblica. Il noir italiano è politico perché in nessun paese i confini tra criminalità, stato, politica e eversione sono stati così sfrangiati, così ambigui e minacciosi verso il cittadino. Che si scrivano oggi questi romanzi forse lo si deve non solo alla lentezza con cui le lettere metabolizzano l'immaginario, ma anche perché vengono oggi al pettine della storia nodi rimasti irrisolti da quegli anni: la legittimazione istituzionale, il fallimento delle agenzie di formazione (scuola, famiglia, partiti, chiesa), l'incapacità della politica partitica di mediare il conflitto, l'esplosione del tessuto sociale. In un contesto di crisi economica e rivolgimento sociale, torna l'esigenza di rappresentarsi il conflitto nelle sue forme più crude, quelle esautorate da un linguaggio politico autoreferenziale e isterico. Un linguaggio tanto più sterile se paragonato all'entità dei mutamenti in atto e alla gravità della situazione, potenzialmente esplosiva come hanno sottolineato il risorgere di gruppi armati politicizzati, gli omicidi di d'Antona e Biagi, l'uccisione di Carlo Giuliani durante il G8 di Genova e il proliferare di politiche di controllo sociale spacciate per sicurezza. Un’altra volta criminalità comune e politica tornano a confondersi, un’altra volta il sangue bagna le strade italiane (decine di manifestazioni no global in tutto il mondo e l’unico morto in Italia). Torna l'incubo degli anni Settanta, un capitolo della storia italiana troppo presto rimosso.








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